Niente è più eccitante di una partenza, che sia di lavoro o di piacere, decidere di partire è – in genere – una scarica di adrenalina che scatena vari sentimenti. Ci sono quelli che adorano le azioni preparatorie, che hanno sempre voglia di partire e quelli che presi dall’ansia, soffrono fino a quel momento in cui tutto accade. Una serie interminabile di rituali propiziatori e azioni che preparano mente e anima allo spostamento, al cambio, all’evoluzione. Lo spostamento, da tempo immemore, è sempre lo Yin e lo Yang dello status quo, da un lato può essere tristezza infinita per lo sradicamento dal luogo natio, dall’altro può essere trepidante attesa di cambiamento e crescita. Temibilmente e incredibilmente, il viaggio è sempre stato entrambi e porta su di sé costantemente il peso delle emozioni come guida sottopelle dello scorrere dei luoghi fuori dal finestrino. È il simbolo del cambiamento dell’ordinario.
Un viaggio, in realtà, inizia ma non finisce mai, propaga le sue onde di conoscenza oltre il tempo, oltre lo spazio fisico, intersecandosi alla memoria, costruendone nuovi livelli mutati e deviazioni che non lasciano più niente uguale a prima. Con certezza viaggiare significa decidere di cambiare il futuro.
Osservare la storia del genere umano vuol dire tener presenti i continui spostamenti, e i derivati stanziamenti, che da sempre hanno imperversato sulla faccia della Terra. Il viaggio nasce lì dove sorge la volontà di spostarsi da parte dei singoli individui, a prescindere dalle condizioni geopolitiche dei luoghi di provenienza. Necessità fisiologiche, ma anche voglia di scoperta come richiamo irrefrenabile e innato, a volte a scapito della vita stessa.
La grandezza del viaggio nasce proprio dalla possibilità di immergersi in culture e modi di vivere differenti dai propri, e capire come rapportarsi ad essi, stimolando l’adattabilità e lo spirito pratico del singolo uomo. Al centro vi è la capacità di saper conoscere più culture, anche talora in netto contrasto fra di loro, e da esse trarre – in maniera positiva – gli elementi migliori. È così che l’uomo si forma, forgiando la sua mente su ciò che in origine non gli appartiene e può offrirgli strumenti più vantaggiosi per affrontare la vita, il lavoro, il futuro. Ampliare gli orizzonti significa avere nuovi confini, tendere all’infinito, che è l’obiettivo ancestrale di ogni essere umano. Se del futuro non possiamo sapere nulla, l’obiettivo è dotarsi degli strumenti migliori per affrontare sfide che saranno sempre diverse. Come i bambini trovano sé stessi, procedendo per emulazione durante l’adolescenza, così si deve cercare il proprio posto nel mondo testando le varie culture e i vari approcci territoriali. Ciò non significa per forze andare via per sempre, molto spesso significa tornare a casa consapevoli e certi sulla propria identità, proprio perché vista e definita in quanto tale, perché inserita in un contesto globale, molto più ampio. “Io sono questo, non sono quest’altro perché conosco ciò che avrei potuto essere. Voglio vivere e sviluppare questo luogo perché ho contezza del mondo”. E questo non per forza deve significare stravolgere, velocizzare, spersonalizzare. Tuttavia, i pericoli che l’homo currens produce non nascono dalla velocità, ma dalla sua assolutizzazione, dall’identificazione di essa con il progresso[1].
Ci sono poi i viaggi della speranza, di chi per varie ragioni spera in un futuro migliore per i propri figli o per sé stesso anche a costo della propria vita, come i viaggi intrapresi verso la terra promessa, che hanno visto lo spostamento di milioni di migranti da tutto il mondo agli inizi del ‘900. Dal 1861, circa 30 milioni di italiani avevano cercato fortuna all’estero. La maggioranza degli emigranti italiani, oltre 14 milioni, partì nei decenni successivi all’Unità di Italia, durante la cosiddetta “grande emigrazione” (1876-1915) con valige di cartone e sogni carichi di frustrazione dopo anni di miseria in patria. Quei viaggi erano speranza e tristezza allo stesso tempo, erano rottura con le comunità locali fatte di prossimità, nuove lingue e panorami completamente diversi per le genti del Meridione assolato di un’Italia appena unita.
Per tali ancestrali ragioni, il viaggio, alla fine (anche oltre le separazioni) diventa sempre una fonte di gioia, ispirazione e crescita personale. Ti offre l’opportunità di esplorare, imparare e connetterti con il mondo in modi che nessun’altra esperienza può offrire e sebbene ci possano essere infinite sfumature e miscele di sensazioni, una sola ci pare la domanda fondamentale: la vita è un viaggio?
Interrogarsi sugli aspetti del mondo con la curiosità di un bambino è la dinamica più forte per la crescita della conoscenza. Le religioni del libro come, ad esempio, l’Islam cercano di aiutare l’uomo in questo percorso terreno, infatti, l’obiettivo del Corano è quello di illuminare la strada della vita. Cristo dice ai suoi discepoli “…proseguite il cammino…”. Anche Buddha dice: “…non puoi percorrere la via prima di essere diventato la via stessa…”.
Oltre le religioni, anche lo scienziato e filosofo Blaise Pascal affermava “…la nostra natura consiste nel movimento. La quiete assoluta è morte…”. Anche la filosofia da sempre aiuta a sviluppare la capacità di porsi domande stimolando immaginazione e creatività, infatti secondo Galimberti, “…la filosofia non è un sapere ma un atteggiamento, l’atteggiamento di chi non smette di fare domande e di porre in questione tutte le risposte che sembrano definitive…”.
Il viaggio è spesso la risposta a tutto quello che cerchiamo. La meraviglia di immergersi in nuovi luoghi e nuove relazioni o anche di consolidare la conoscenza di qualcosa di già noto è l’atteggiamento (e filosofia) del vero viaggiatore.
Poi c’è anche la cosiddetta Restanza cioè il desiderio di molti di restare per scelta e non per dovere, non solo come accettazione di un destino ma per volontà, come ben descritto dal prof. Teti[2]. Due facce della stessa medaglia, a coloro che partono si contrappongono coloro che restano, pur restando camminano viaggiando negli spazi senza tempo, “…il viaggio di Ulisse non avrebbe senso senza una Penelope che lo aspetta…” una reciprocità che dà forza ad entrambi e li rende eroi del loro tempo e della loro storia eterna.
Anche Shakespeare ci viene incontro quando nel dialogare con un giovane suo ammiratore che gli chiedeva come mai riusciva a descrivere luoghi che non aveva mai visto in epoche che non aveva mai vissuto, e William con la sua grande capacità di viaggiare anche solo con la mente rispondeva: “…tutto inizia con un idea che nasce dall’impulso (compulsion) di creare qualcosa di bello o di utile… usando tutti gli ingredienti possibili… tutti hanno bisogno di un sogno che resista ad ogni sorta di avversità… tutte le tribolazioni dovranno essere superate senza mai perdere di vista il proprio sogno…” e quando la figlia domanda: “cosa si prova quando tutto va bene?” William risponde: “che profumo ha il pane appena sfornato?”
Il profumo del pane è la metafora usata da Shakespeare per rafforzare in maniera semplice a chi non conosce tutti i profumi del mondo ma conosce quelli basici della panificazione per spiegare come quell’impulso può far viaggiare l’immaginazione, così come il profumo del pane spalanca la porta dello stomaco, così un viaggio o il suo racconto possono sprigionare sogni e idee, come dicono gli americani: things happen in conversations. Le cose accadono quando decidiamo di metterci in movimento. E forse potrebbe essere già questa la chiave, muoversi affinché lo scorrere degli eventi oltrepassi la diga dell’apatia.
In questo libro vogliamo raccontarvi le storie di coloro che partiti o non partiti sostengono l’importanza della “Tornanza”, un viaggio interiore alla scoperta della nostra trasformazione evolutiva, al tempo necessario, alla profondità delle esperienze, al desiderio di cultura innovativa, alla consapevolezza delle inquietudini della vita, comprese le sofferenze, percorso obbligato per il paradiso, inteso come realizzazione personale. Coloro che tornando vedono quello che i restanti non vedono, riconoscono il valore di spazi resi invisibili dalla quotidianità, sono pionieri dell’evoluzione, rivoluzionari dell’esistenza.
Esplicitare quello che implicitamente possiede proiezione di speranza è una missione che intimorisce coloro i quali non hanno l’irrequietezza del tornante, che carico di esperienze con culture e luoghi diversi costruisce nuovi sensi territoriali.
I sognatori sono i salvatori del mondo. Come il mondo visibile è sostenuto da quello invisibile, così gli uomini, nonostante tutti i loro tentativi, peccati, e basse inclinazioni, sono nutriti dalle belle visioni dei sognatori solitari. L’umanità non può dimenticare i suoi sognatori, non può lasciare i loro ideali offuscarsi e morire, perché vive in essi e sa che un giorno si realizzeranno, e potranno essere visti e conosciuti. I musicisti, gli scultori, i pittori, i poeti, i profeti, i saggi, questi sono i creatori del prossimo mondo, gli architetti del paradiso. Il mondo è bello perché loro hanno contribuito nel crearlo.
Seguite le pagine social del progetto:
[1] Cassano F., “Il pensiero meridiano”, Laterza, 1996
[2] Teti V., “La Restanza”, Einaudi, 2022;